Il 5 novembre 2010 è nato una specie di spazio (niente maiuscole, non ancora); nuovo nuovo, a Cremona, in Galleria del Corso n°36 - ma qualcuno sostiene che sia Piazza Roma n° 36, e già qui si intravede il futuro bizzarro di un luogo che non ha nome ma un'identità incerta, e incerto è così pure l'indirizzo. Che poi non è nato neppure il 5 novembre, ma quel 5 novembre è stato solo tenuto a battesimo, con l'installazione-mostra di Skeletro379, cioè Renato Florindi (se ne parla dopo, e bene), perchè lo spazio già esisteva, ed io e Federico Fronterrè, il mecenate di tutta l'operazione, lo vivevamo e lo discutevamo, e prima ancora di aprirne i battenti l'avevamo già ammazzato e resuscitato più volte, trasformandolo in negozio, poi in galleria, pensandolo invivibile e inabitabile, spazio a sè, auto-referenziale nel suo nulla, poi ci siamo detti che sarebbe stato un po' di tutto. Già allora ci rendevamo conto che non era lo spazio il problema, ma il contenitore più ampio in cui si trovava, ossia la città.
Cremona è un posto in cui si infrangono sogni e desideri, ma come la Shell Beach della tenebrosa, proteiforme Dark City di Alex Proyas, come certe architetture spaventose e forse inutili di Giovanni Piranesi e del Cornelio Escher, è spesso anche l'unico contenitore di sogni (per alcuni). Cremona è città, come tutte le città (?), dove esiste solo ciò che è promosso, legittimato, associato, amministrato, al massimo compromesso, tendente al perfezionamento e all'assimilazione, Cremona vive i suoi spazi per renderli odiosi. A volte. Tratta i suoi luoghi con l'amore che lo spettatore dona ai partecipanti al grande fratello (scusate se anche qui non uso le maiuscole), cioè con l'amore destinato a diventare odio e disprezzo, boicottaggio dell'immagine invidiata. E' un bel posto, Cremona, ma chi ci vive non è amante dei luoghi che abita. Io che a Cremona ci abito ormai da tanto, ma non ci ho vissuto l'infanzia, ricordo che arrivato nella città del torrone e dello strumento che comincia con la V di vendetta - io mi ricordo la nebbia, e gli androni, e i cortili misteriosi, e la campagna a un tratto, e certi quartierini solitari che ci vado poco, perchè quando ci vado trovo la città che mi piace, e me la conservo.
Questa specie di spazio è per me un omaggio a quel mistero che trovai giunto in questa città del nord. Io e Federico volevamo regalare un po' di stupore, perchè come dice un'amica, "lo stupore è un motore", e volevamo stupirci pure noi, che abbiamo cominciato questa cosa senza sapere come si va a finire. Perchè possiamo e ci va, perchè vogliamo vivere e fare vivere in pochi metri quadri un po' dell'animo umano (certo, ovvio, un certo tipo di umano), e forse, se riusciamo un minimo a essere diversamente curatori, anche a scommetterci sopra in un senso lavorativo e culturale. Adesso però NON è un lavoro, e la cultura, se c'è, è perchè ne siamo tutti più o meno pregni, se trasuda non è colpa nostra.
Avrò/avremo modo, io e Federico, di parlare ancora di questo esperimento, quest'ambizione e questo fallimento (parleremo anche della validità dell'ipotesi di fallimento), ma poichè ho già scritto troppo, lascio il resto alle giuste e belle parole, quelle che nascono dalla sapienza della sintesi, le parole di Luca Muchetti, che ha intercesso per noi sul giornale locale, ci ha suggeriti in un supplemento, fotografati e legittimati, un piccolo atto di giustizia che ammiro e quindi riconosco nell'inserire il suo testo integralmente. Per ora è tutto, ma non è vero, altri post mi attendono.
David C. Fragale
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