giovedì 6 settembre 2012

PUNTI DI VISTA SUL NESSUN DOVE E SUL DAPPERTUTTO...

Colors, quarto appuntamento del progetto No/where Now/here, è un evento nato dalla volontà di far rivivere l'arte come mezzo creativo, attivo e costruttivo, al fine di instaurare un legame diretto tra chi fa, chi osserva e l'ambiente circostante: ciò che è in origine l'arte ma che da tempo ha cessato di essere.
Così non ci si trova più nel proprio atelier o nella propria stanza a creare qualcosa che poi si vorrà mostrare ed esibire, ma ci si trova in un parco, insieme ad altri artisti e insieme a fruitori che non osservano l'opera finita ma tutto il procedimento, con la possibilità di interagire e chiedere, partecipando attivamente. Non solo, ma anche l'atto del dipingere insieme, talvolta difficile e poco utile alla concentrazione, è diventato invece stimolante, creando legami e fili comunicanti tra gli artisti che, finalmente, hanno avuto la possibilità di condividere ciò che fanno e come, e non solo il risultato di tutto questo iter importantissimo.
E' vero che spesso il creativo ricerca la solitudine durante la creazione, ma è anche vero che mai come oggi si sente il bisogno di condividere, manifestare, esibire, e purtroppo questo trova canali utili ma non sempre costruttivi come quello di internet, che nonostante offra sconfinate possibilità, pone sempre un filtro, uno schermo divisorio. Oppure le esposizioni d'arte, i presunti vernissage che spesso rischiano di diventare incontri mondani e non incontri tra persone che condividono passioni e idee. 
Colors ha messo in gioco le personalità e le attitudini artistiche dei vari componenti privilegiando relazione e contatto.
La partecipazione del pubblico esterno è stata interessante: alcuni si sono avvicinati per osservare, pochi temerari hanno fatto qualche domanda, ma l'immagine più emblematica è stata quella dei bambini che si lanciavano nei covoni di Riccardo Bofadini (sotto l'occhio attento di Federico e David). Ed ecco come la quotidianità si è fusa con la creatvità!
Alessia Degani
Skeletro379 al lavoro sulla schiena di Enda Riboni
DCF offre bolle giganti...
Anna Kodama Cigoli al lavoro
In primo piano, Andrea Parisi
DCF aggiunge occhi a Erica Lanzoni
Alessia Degani dipinge sui corpi...
Sarah Elisa Bonvicini
Enda Riboni indossa Skeletro379
Isidoro Gandaglia

I covoni colorati di Riccardo Bonfadini resi fumosi da David C. Fragale
Flavio Aster Bissolati
Gabriele Bassini
Riccardo Bonfadini
Così disse Skeletro379, alìas Renato Florindi
Così dissero Anna Cigoli e Isidoro Gandaglia
Alessia Degani indossa Skeletro379
Così disse Alessia Degani
Così disse Simona Florindi
Così disse Sarah Elisa Bonvicini

Qualche sera fa, davanti ad una buona bottiglia di vino e ad una quantità di sigarette che facevano temporaneamente impallidire il mio recente piano di ridurre il fumo, stavo riflettendo insieme a David C. Fragale e a Gabrielle Bassini (ragazzo che ha partecipato a Nessun dove dappertutto - Colors e con cui collaboreremo molto presto per la realizzazione di un evento all'insegna della creatività a 360°) sul cosiddetto "gradiente di fallimento" applicato alla realizzazione di un evento che abbia a che fare con la creatività nella sua accezione più ampia.

Ogni volta che ci si trova di fronte all'arduo compito di mettere in piedi un evento di questo tipo ci si trova a valutare una molteplicità di fattori e di variabili che possono portare alla buona o alla cattiva riuscita dell'evento stesso. Lo scopo del buon organizzatore o curatore che sia è quello di ridurre al minimo quella percentuale di elementi che possono portare ad un risultato negativo o addirittura al fallimento (gradiente di fallimento appunto).
Come si può riuscire a combattere questa difficilissima  battaglia contro il "gradiente di fallimento"?
Molto banalmente, ma anche molto realisticamente, potremmo dire: avendo nelle nostre tasche tanti soldi. Già qui partiamo in salita.
Potremmo anche dire: valutando molto bene che tipo di persone coinvolgere come partner o come attori di questa avventura (chi realizza o agisce la creatività che riempie l'evento). E' forse ancora più difficile.
Potremmo inoltre dire: definendo molto bene qual è il nostro target di riferimento, in sostanza chi vogliamo che venga a vedere quello che abbiamo realizzato con tanta fatica. In questo caso ci si trova a fare un esercizio di empatia non indifferente, in quanto l'oggetto del nostro evento è la creatività che fluisce ed entra/esce nella vita delle persone (persone dotate di intelligenza...meglio specificare) centinaia e centinaia di volte, spesso senza che nemmeno se ne accorgano.
Inutile dire che lo sforzo per ridurre al minimo il "gradiente di fallimento" raggiunge un livello non proprio indifferente.
La domanda che dovrebbe venire spontanea a chi sta leggendo questo post e che segue anche un po' questo blog è: ma chi glielo fa fare a David e Federico di realizzare ben tre eventi, che coinvolgono decine di persone e a fronte di un budget non certo così significativo, nel giro di neanche un mese. La prima risposta che mi verrebbe da darvi è che siamo pazzi, ma non credo proprio che possa essere esauriente.
Per rispondere devo tornare alla riflessioni di cui parlavo all'inizio di questo post.
Più vado avanti nell'avventura di Una Specie di Spazio, più mi rendo conto che la battaglia per ridurre il "gradiente di fallimento" ad un livello più che accettabile, o che almeno giustifichi il proseguimento di questa avventura, va combattuta su un piano e con delle armi diverse rispetto ai canoni abituali. In sostanza non possiamo agire su un piano che possa essere pienamente oggettivizzabile: non possiamo concentrare le nostre aspettative sul fatto che l'esposizione o installazione o performance o estemporanea che sia soddisfi tutti i criteri, di allestimento o di messa in atto, che uno spettatore esigente può richiedere, non è nostra intenzione collaborare con artisti/creativi che abbiano già un altissimo livello di maturità artistica e che abbiano già compreso in che direzione far andare il loro talento. In sostanza il senso di quello che stiamo facendo io e David non è riscontrabile in ciò che è appeso alle pareti o è performato/installato dentro e fuori Una Specie di Spazio ma è rilevabile in tutto ciò che accade una volta che una persona ha terminato di fruire di ciò che ha realizzato l'artista/creativo. E' nelle riflessioni, a volte completamente slegate da ciò che si ha visto, che nascono fra i ragazzi fuori dal nostro spazio. E' nelle collaborazioni inaspettate che si creano fra le persone, a volte sconosciute l'una all'altra, e che vanno a sfociare in progetti creativi comuni. E' nella necessità di molti ragazzi (e non solo) di trovare un luogo dove poter sentirsi a casa e poter manifestare la propria sensibilità fuori dal comune. E' nell'esigenza, mia e di David, di dimostrare che per far venire allo scoperto il proprio talento non è poi così necessario entrare nel cosiddetto "sistema dell'arte", ma forse bastano solo quattro pareti ed un'idea forte a sostenere la propria visione delle cose.
E' in tutto ciò che mi trovo a misurare il mio personale "gradiente di fallimento" ed è a tutto ciò che mi affido quando le circostanze negative e difficoltà di vario tipo (che per elencare non basterebbe questo post) la fanno da padrone.
E' sulla base di questo gradiente che ho preso coscienza del successo degli ultimi eventi che abbiamo realizzato, gli eventi della serie Nessun dove dappertutto.
Nessun dove dappertutto: Colors ha dimostrato ancora una volta che l'estemporaneità nell'arte non significa solo improvvisare con pennello e colori ma dimostra sempre di più la necessità dei creativi  di relazionarsi fra di loro attraverso la propria creatività, piuttosto che coltivare il falso mito dell'artista reietto della società, da cui è isolato in tutto e per tutto. In quelle due giornate sono nate e  si sono legittimate amicizie, si sono poste le basi per future collaborazioni (di cui parleremo presto in questo blog) e ognuno è entrato in sinergia con la lucida follia dei ragazzi che lo circondavano senza trattenere la propria.
Nessun dove dappertutto: Medusa in time è stato la volontà di far vivere il nostro spazio espositivo come un'opera d'arte a sè stante, di trasfigurare quelle quattro pareti ancora una volta abbattendo le due dimensioni dell'esposizione classica, è stato la volontà di lasciar scorrere un'idea nata dalla sinergia fra due individui (il sottoscritto e Marta Fumagalli), per una settimana, senza la necessità di legittimarla ogni volta attraverso la spiegazione allo spettatore.
Nessun dove dappertutto: Woods si è dimostrato un'ulteriore fruttuosa collaborazione fra artisti (Marta Fumagalli e Riccardo Pirovano) e, a sua volta, è stata una collaborazione fra gli artisti e un parco della nostra città (Parco Po). E' un'opera che è stata donata alla città e che è stata creata a partire dalla città e realizzata da zero in loco. Immancabili, anche in Woods, gli interventi estemporanei di diversi ragazzi che passando da Parco Po hanno creato, con le loro interpretazioni della strana creatura di land-art che stava crescendo giorno dopo giorno, una cornice ideale a quello che stava accadendo lì accanto.
Forse la morale che trovo in tutto ciò di cui ho parlato fino ad ora è da riscontrarsi nella necessità di distaccarsi un po' dalla ricerca costante di una legittimità, calata spesso dall'alto e che non viene dal basso, dell'arte e della creatività in genere.
Questa ricerca, il cui perpetrarsi ostinato è abbastanza inutile, porta ad alzare sempre di più l'asticella del "gradiente di fallimento" e a rendere più difficili e vani i diversi tentativi di arte che si diffonde e si sviluppa dal basso, facendoci dimenticare che lo scopo dell'arte non risiede nell'arte stessa ma in tutto quello che accade e nasce a partire da essa ed intorno ad essa. Almeno per me.

Federico Fronterrè









"Vedute" dell'installazione di Federico Fronterrè e Marta Fumagalli
Marta Fumagalli e Riccardo Pirovano e la loro installazione di legni e tronchi...
Una serie di illustrazioni che si ispirano all'installazione di land art di Riccardo e Marta, cercando di immaginare la storia della "creatura" che adesso dorme e sogna al binario morto del viale Lungo Po Europa di Cremona; gli autori delle illustrazioni sono: Vanessa Anzoni, Gabriele Bassini, Mauro Bitta, Anna Cigoli, Alessia Degani, David C. Fragale e Isidoro Gandaglia

Per altre informazioni e foto, ricordate che qui si possono visionare i video, mentre altre fotografie le trovate sul nostro facebook; per informazioni sugli eventi di No/where Now/here, potete cliccare qui.