Colors, quarto appuntamento del progetto No/where Now/here, è un evento nato dalla volontà di far rivivere l'arte come mezzo
creativo, attivo e costruttivo, al fine di instaurare un legame diretto
tra chi fa, chi osserva e l'ambiente circostante: ciò che è in origine
l'arte ma che da tempo ha cessato di essere.
Così non ci si trova
più nel proprio atelier o nella propria stanza a creare qualcosa che poi
si vorrà mostrare ed esibire, ma ci si trova in un parco, insieme ad
altri artisti e insieme a fruitori che non osservano l'opera finita ma
tutto il procedimento, con la possibilità di interagire e chiedere,
partecipando attivamente. Non solo, ma anche l'atto del
dipingere insieme, talvolta difficile e poco utile alla concentrazione, è
diventato invece stimolante, creando legami e fili comunicanti tra gli
artisti che, finalmente, hanno avuto la possibilità di condividere ciò
che fanno e come, e non solo il risultato di tutto questo iter
importantissimo.
E' vero che spesso il creativo ricerca la
solitudine durante la creazione, ma è anche vero che mai come oggi si
sente il bisogno di condividere, manifestare, esibire, e purtroppo
questo trova canali utili ma non sempre costruttivi come quello di
internet, che nonostante offra sconfinate possibilità, pone sempre un
filtro, uno schermo divisorio. Oppure le esposizioni d'arte, i presunti vernissage che
spesso rischiano di diventare incontri mondani e non incontri tra
persone che condividono passioni e idee.
Colors ha messo in
gioco le personalità e le attitudini artistiche dei vari componenti privilegiando relazione e contatto.
La partecipazione
del pubblico esterno è stata interessante: alcuni si sono avvicinati per
osservare, pochi temerari hanno fatto qualche domanda, ma l'immagine
più emblematica è stata quella dei bambini che si lanciavano nei covoni di Riccardo Bofadini (sotto
l'occhio attento di Federico e David). Ed ecco come la quotidianità si
è fusa con la creatvità!
Alessia Degani
Skeletro379 al lavoro sulla schiena di Enda Riboni |
DCF offre bolle giganti... |
Anna Kodama Cigoli al lavoro |
In primo piano, Andrea Parisi |
DCF aggiunge occhi a Erica Lanzoni |
Alessia Degani dipinge sui corpi... |
Sarah Elisa Bonvicini |
Enda Riboni indossa Skeletro379 |
Isidoro Gandaglia |
I covoni colorati di Riccardo Bonfadini resi fumosi da David C. Fragale |
Flavio Aster Bissolati |
Gabriele Bassini |
Riccardo Bonfadini |
Così disse Skeletro379, alìas Renato Florindi |
Così dissero Anna Cigoli e Isidoro Gandaglia |
Alessia Degani indossa Skeletro379 |
Così disse Alessia Degani |
Così disse Simona Florindi |
Così disse Sarah Elisa Bonvicini |
Qualche sera fa, davanti ad una buona bottiglia di vino e ad
una quantità di sigarette che facevano temporaneamente impallidire il mio
recente piano di ridurre il fumo, stavo riflettendo insieme a David C. Fragale e a
Gabrielle Bassini (ragazzo che ha partecipato a Nessun dove dappertutto -
Colors e con cui collaboreremo molto presto per la realizzazione di un evento
all'insegna della creatività a 360°) sul cosiddetto "gradiente di
fallimento" applicato alla realizzazione di un evento che abbia a che fare
con la creatività nella sua accezione più ampia.
Ogni volta che ci si trova di fronte all'arduo compito di
mettere in piedi un evento di questo tipo ci si trova a valutare una
molteplicità di fattori e di variabili che possono portare alla buona o alla
cattiva riuscita dell'evento stesso. Lo scopo del buon organizzatore o curatore
che sia è quello di ridurre al minimo quella percentuale di elementi che
possono portare ad un risultato negativo o addirittura al fallimento (gradiente
di fallimento appunto).
Come si può riuscire a combattere questa difficilissima battaglia contro il "gradiente di
fallimento"?
Molto banalmente, ma anche molto realisticamente, potremmo
dire: avendo nelle nostre tasche tanti soldi. Già qui partiamo in salita.
Potremmo anche dire: valutando molto bene che tipo di
persone coinvolgere come partner o come attori di questa avventura (chi
realizza o agisce la creatività che riempie l'evento). E' forse ancora più
difficile.
Potremmo inoltre dire: definendo molto bene qual è il nostro
target di riferimento, in sostanza chi vogliamo che venga a vedere quello che
abbiamo realizzato con tanta fatica. In questo caso ci si trova a fare un
esercizio di empatia non indifferente, in quanto l'oggetto del nostro evento è
la creatività che fluisce ed entra/esce nella vita delle persone (persone
dotate di intelligenza...meglio specificare) centinaia e centinaia di volte,
spesso senza che nemmeno se ne accorgano.
Inutile dire che lo sforzo per ridurre al minimo il
"gradiente di fallimento" raggiunge un livello non proprio
indifferente.
La domanda che dovrebbe venire spontanea a chi sta leggendo
questo post e che segue anche un po' questo blog è: ma chi glielo fa fare a
David e Federico di realizzare ben tre eventi, che coinvolgono decine di persone
e a fronte di un budget non certo così significativo, nel giro di neanche un
mese. La prima risposta che mi verrebbe da darvi è che siamo pazzi, ma non
credo proprio che possa essere esauriente.
Per rispondere devo tornare alla riflessioni di cui parlavo
all'inizio di questo post.
Più vado avanti nell'avventura di Una Specie di Spazio, più
mi rendo conto che la battaglia per ridurre il "gradiente di
fallimento" ad un livello più che accettabile, o che almeno giustifichi il
proseguimento di questa avventura, va combattuta su un piano e con delle armi
diverse rispetto ai canoni abituali. In sostanza non possiamo agire su un piano
che possa essere pienamente oggettivizzabile: non possiamo concentrare le
nostre aspettative sul fatto che l'esposizione o installazione o performance o
estemporanea che sia soddisfi tutti i criteri, di allestimento o di messa in
atto, che uno spettatore esigente può richiedere, non è nostra intenzione
collaborare con artisti/creativi che abbiano già un altissimo livello di
maturità artistica e che abbiano già compreso in che direzione far andare il
loro talento. In sostanza il senso di quello che stiamo facendo io e David non
è riscontrabile in ciò che è appeso alle pareti o è performato/installato
dentro e fuori Una Specie di Spazio ma è rilevabile in tutto ciò che accade una
volta che una persona ha terminato di fruire di ciò che ha realizzato
l'artista/creativo. E' nelle riflessioni, a volte completamente slegate da ciò
che si ha visto, che nascono fra i ragazzi fuori dal nostro spazio. E' nelle
collaborazioni inaspettate che si creano fra le persone, a volte sconosciute
l'una all'altra, e che vanno a sfociare in progetti creativi comuni. E' nella
necessità di molti ragazzi (e non solo) di trovare un luogo dove poter sentirsi
a casa e poter manifestare la propria sensibilità fuori dal comune. E'
nell'esigenza, mia e di David, di dimostrare che per far venire allo scoperto
il proprio talento non è poi così necessario entrare nel cosiddetto
"sistema dell'arte", ma forse bastano solo quattro pareti ed un'idea forte
a sostenere la propria visione delle cose.
E' in tutto ciò che mi trovo a misurare il mio personale
"gradiente di fallimento" ed è a tutto ciò che mi affido quando le
circostanze negative e difficoltà di vario tipo (che per elencare non basterebbe
questo post) la fanno da padrone.
E' sulla base di questo gradiente che ho preso coscienza del
successo degli ultimi eventi che abbiamo realizzato, gli eventi della serie
Nessun dove dappertutto.
Nessun dove dappertutto: Colors ha dimostrato ancora una
volta che l'estemporaneità nell'arte non significa solo improvvisare con
pennello e colori ma dimostra sempre di più la necessità dei creativi di relazionarsi fra di loro attraverso la
propria creatività, piuttosto che coltivare il falso mito dell'artista reietto
della società, da cui è isolato in tutto e per tutto. In quelle due giornate
sono nate e si sono legittimate
amicizie, si sono poste le basi per future collaborazioni (di cui parleremo
presto in questo blog) e ognuno è entrato in sinergia con la lucida follia dei
ragazzi che lo circondavano senza trattenere la propria.
Nessun dove dappertutto: Medusa in time è stato la volontà
di far vivere il nostro spazio espositivo come un'opera d'arte a sè stante, di
trasfigurare quelle quattro pareti ancora una volta abbattendo le due dimensioni
dell'esposizione classica, è stato la volontà di lasciar scorrere un'idea nata
dalla sinergia fra due individui (il sottoscritto e Marta Fumagalli), per una settimana,
senza la necessità di legittimarla ogni volta attraverso la spiegazione allo
spettatore.
Nessun dove dappertutto: Woods si è dimostrato un'ulteriore
fruttuosa collaborazione fra artisti (Marta Fumagalli e Riccardo Pirovano) e,
a sua volta, è stata una collaborazione fra gli artisti e un parco della nostra
città (Parco Po). E' un'opera che è stata donata alla città e che è stata
creata a partire dalla città e realizzata da zero in loco. Immancabili,
anche in Woods, gli interventi estemporanei di diversi ragazzi che passando
da Parco Po hanno creato, con le loro interpretazioni della strana creatura di
land-art che stava crescendo giorno dopo giorno, una cornice ideale a quello
che stava accadendo lì accanto.
Forse la morale che trovo in tutto ciò di cui ho parlato
fino ad ora è da riscontrarsi nella necessità di distaccarsi un po' dalla
ricerca costante di una legittimità, calata spesso dall'alto e che non viene
dal basso, dell'arte e della creatività in genere.
Questa ricerca, il cui perpetrarsi ostinato è abbastanza
inutile, porta ad alzare sempre di più l'asticella del "gradiente di
fallimento" e a rendere più difficili e vani i diversi tentativi di arte
che si diffonde e si sviluppa dal basso, facendoci dimenticare che lo scopo
dell'arte non risiede nell'arte stessa ma in tutto quello che accade e nasce a
partire da essa ed intorno ad essa. Almeno per me.
Federico Fronterrè
"Vedute" dell'installazione di Federico Fronterrè e Marta Fumagalli |
Marta Fumagalli e Riccardo Pirovano e la loro installazione di legni e tronchi... |