La disciplina della prossemica, che per quanto ne so riflette sui gesti e i comportamenti umani in relazione allo spazio (ma per maggiori chiarimenti, rimando alle letture specifiche sul tema, in particolare la Dimensione nascosta di Edward Hall), definirebbe l'ospedale psichiatrico così come ogni altra struttura penitenziale un errore semiotico, ovvero un paradosso significante; ma per dirlo meglio si dovrebbe pensare al mondo naturale e provare ad immaginare qualcosa di simile al manicomio nell'universo animale o vegetale. Ovviamente ci rendiamo subito conto che aberrazioni simili non esistono, a differenza forse dei cimiteri. Per le ragioni più ovvie, pure se si esclude la dimensione spirituale, il cimitero è una realtà presente nel mondo animale come in quello umano (qui la distinzione fra specie è puramente di comodo). Il cimitero è infatti un compromesso tra il bisogno di mantenere incontaminato un dato settore abitativo e quello di ricondurre (o ricondursi) a uno spazio neutrale, avulso dal cinetismo del mondo vivente. A questo proposito, sarebbero esemplari (per quanto lontani dall'essere studiati e confermati) i cimiteri di elefanti e quelli di balene. Ma se dalle piramidi ai mausolei, dagli ossari sotterranei ai malinconici camposanti costellati di statue erose dal tempo, il cimitero dell'uomo d'oggi e di ieri è sempre parsa una monumentale elegia costruita intorno all'oggetto morto, e quindi un'esaltazione dell'essere umano dai tratti vagamente necrofili, al contrario i sanatori e le carceri, ancora luoghi di vita, di presenze pulsanti, paiono quasi costituire una paradossale imitazione degli alveari e dei formicai del mondo degli insetti, eppure invertiti di senso; ed è qui che la morte e l'oblio sembrano essere più presenti, il cimitero diventa luogo del ricordo, il manicomio diventa luogo della dimenticanza.
Attent place, (c) David C. Fragale
Emblematico è stato, in questo senso, entrare nell'ospedale di C. (non cito il nome per evidenti motivi di discrezione e per non agevolare in qualche modo la sparizione di questo luogo che adesso è sospeso fra quello che fu il suo ruolo specifico e il cimitero, passando per tutti i significanti che stanno in mezzo).
Si tratta di una delle più grandi strutture manicomiali del nostro paese, e prima fu lazzaretto per malati di colera. La sua storia, per chi è bravo a cercare, si trova su tantissimi siti, e a questo rigo avrete già capito di che posto si parla.
A me interessa ricondurre tutto allo spazio, a quella distanza che annulla o consente la comunicazione.
L'ospedale di C. si presenta fin da subito come una serie di strutture tra il vecchio e il nuovo, e quindi già un incontro di epoche; alcuni settori sono più semplici e funzionali, e il decadimento progressivo le ha trasformate nelle parti più spaventose dell'edificio; man mano che si procede nell'esplorazione, l'architettura diventa più ricercata, ma non troppo, sia beninteso, è semplicemente un riflesso del momento in cui è stata costruita. A questo punto sopraggiunge la tristezza. L'ospedale abbandonato di C. si comporta adesso come una cassa di risonanza delle nostre sensazioni o, per chi ci vuole credere, di tutte le sensazioni che si sono negli anni mescolate in quel luogo. E, cosa più importante, adesso sembra svolgere quel ruolo che prima non aveva svolto mai. Adesso, nell'annullamento delle sue funzioni, può anche essere bello. Perché adesso, nello stato in cui versa, di sicuro effimero, ma capace di stupirci per la longevità che potrebbe manifestare se l'uomo non si opporrà a questo stato di libero arbitrio strutturale, l'ospedale abbandonato di C. è divenuto uno spazio polifunzionale e ha acquisito tutta una serie di sensi che prima gli erano preclusi.
Too much time, (c) David C. Fragale
Adesso C. è un luna-park per gli amanti del silenzio o delle emozioni forti, è un set video-fotografico, è un covo di fantasmi per gli appassionati cacciatori di tali manifestazioni, è anche un documento storico; è un ironico antagonista del ben più famoso e ben tenuto edificio che gli sorge accanto, dimora di duchi e duchesse, è un'avventura fisica per chi, anestetizzato dalle tecnologie che coinvolgono mondi astratti, può ricordarsi il piacere dell'esplorazione e i suoi molteplici rischi. Potrei andare avanti così, ma non è questo il punto. Forse il punto è che questa esperienza dentro le mura di C. mi ha ricordato quanto sia importante il nostro rapporto con lo spazio, con le specie di spazi che affollano il mondo, e quanto sincero e cristallino possa rivelarsi vagare nei corridoi, per le stanze, nei meandri sotterranei, di un luogo che ha perso la sua funzione come l'uomo sembra perdere la sua funzione dopo la morte. Camminare sul pavimento polveroso di C. è come camminare nelle circonvoluzioni del cervello umano, dentro c'è tutto, come sopra così sotto, ovvero così dentro come fuori. E viceversa.
DCF
P.S.: Si
ringraziano gli amici che hanno partecipato a questo viaggio, e i
ragazzi di Dust Brothers Inside, per l'interesse e la passione comune, e per le numerose dritte in merito.
Musa
è
una performance ideata da David
Chance Fragale e
Sonia
Secchiin
occasione dell' EXPOSIZIONE PIKIDI 2015
Sempre mi sono chiesto donde viene l'arte, la creatività, i simboli e altri pensieri che obbligano alla manifattura, alla scrittura, alla messa in scena delle cose. Sempre, in questi momenti, mi ha colto un'ansia terribile, come se alle mie spalle si elevasse un corpo immane, un dinosauro che mi respirasse sulla nuca; di notte questa cosa assumeva le forme di donne mostruose e seducenti, l'ispiratrice crudele. Se il Duende di Lorca mi parla sotto forma di specchio distorto, scimmiottando le mie forme e la mia voce, così la Musa è altrettanto oscura, entità esigente alla quale è impossibile opporsi, bella e terribile. Nel mio vivere, la meraviglia più grande si incarna spesso nell'aspetto più agghiacciante, priva di stucchevole armonia e sussiegoso splendore. L'arte, come la vita, è prodotto di pulsioni ctonie, e l'atto perfomativo è solo un esperimento per dire di questo. Meglio ancora se si tratta di un gioco a due, come si volesse soddisfare questi angeli che sono anche demoni con la forza del doppio.
Per questo Μοῦσαι, per questo Pikidi Arte. Per tentare di raccontare la bellezza dell'angoscia del fare. MUSA
è un tentativo di ingraziarsi ciò che vive alle nostre spalle,
perché alla fine tutto è dovuto.
Musa
è
una performance di lettura e scrittura e altro ancora ideata daDavidChance Fragalee
SoniaSecchiin
occasione dell' EXPOSIZIONE PIKIDI 2015.
DcF
Una breve serie di scatti delle opere presenti all'EXPOSIZIONE PIKIDI 2015, tra cui DICRE, Giordano Garutti, Riccardo Bergonzi, Filippo Centenari, Giorgio Varani, REGO, Gianpietro Grossi e altri...
A seguire, della performance un breve riepilogo, un'idea, un'impressione di quello che è stato fatto:
Ed
eccoci qui, a Milano con i Black Whateverare nel cestino delle
biciclette. Il sole è alto sulla città stranamente mezza vuota e
senza macchine e pedalare è un piacere.
Dopo
aver incontrato i ragazzi di 100in1giorno Milano in Piazza Cairoli
per ritirare il kit necessario ai partecipanti all'iniziativa,
scattiamo un paio di foto e rimontiamo sulle nostre biciclette
sgangherate verso Parco Sempione pronti a cominciare con THE BLACK
WHATEVERARE ON THE ROAD.
E'
cominciata così la nostra giornata a Milano in occasione di
100IN1GIORNO, festival della creatività urbana: un festival che ha
l'intenzione di raccogliere all'interno dei confini urbani un minimo
di 100 iniziative proposte e realizzate dai cittadini nell'arco di un
giorno, con l'obiettivo di capire fino a che punto, insieme, è
possibile stimolare la creatività collettiva per animare gli spazi
pubblici rendendo Milano più vicina ai propri sogni, che si tratti
di performances, installazioni o sport. E' un movimento globale al
quale hanno aderito città europee e non da Milano a Copenhagen, da
Città del Capo a Montreal e così via.
Ma
che cos'è THE BLACK WHATEVERARE ONE THE ROAD?
E'
un spettacolo di pupazzeria e di storytelling ma è anche un
laboratorio per imparare a costruire i propri avatar di pezza,
interpretarli in modo efficace e vivere la città come scenario per
raccontare storie sempre nuove.
Il
nostro è stato un tentativo di raccontare la città come spazio
creativo di gioco e improvvisazione attraverso l'uso dei nostri amici
pelosi, oltre che un momento di indagine e conoscenza di tutte le
realtà che si muovono silenziosamente o meno intorno a noi... anche
se, dato il poco tempo a disposizione, non si è potuto vedere
proprio tutto. Ma qualcosa, qualche piccola parte di questo grande
evento (e quindi grandi singole iniziative!) l'abbiamo vista:
infatti, dopo il nostro contributo all'evento in Parco Sempione, ci
siamo trovati all'ombra di certi alberi dei giardini pubblici di
Indro Montanelli ornati dai bellissimi lavori delle artiste del
gruppo Sul Filo Dell'Arte, organizzazione no profit che si occupa di
urban knitting, mandala, allestimenti tematici, laboratori per
bambini e molto altro, e che ci hanno insegnato a confezionare i
nostri manufatti con materiali di recupero che abbiamo felicemente
abbandonato in segno di augurio o solo per dire “noi siamo passati
di qua”.
Poi
Corinna (una delle artiste di Sul Filo Dell'Arte) ci dice: “Eh,
siete arrivati tardi! Prima c'erano tutti i ragazzi del Pride ma sono
andati a fare la parata in corso Buenos Aires” così ci guardiamo e
dopo questa gradevolissima pausa inforchiamo le bici e cominciamo a
pedalare in preda alla curiosità.
Non
credo di aver mai visto Corso Buenos Aires sgombra dalle macchine, la
via per l'occasione si è trasformata in un'area pedonale che ospita
una moltitudine di persone in festa per il Gay Pride: bandiere
arcobaleno, giovani e anziani, musica e curiosi, macchine
fotografiche e telecamere all'opera per riprendere il tutto e
immortalare questa data che sicuramente un giorno troveremo nei libri
di storia.
Ma
l'avventura non finisce qui: è vero che quando hai una bicicletta
puoi davvero andare più lontano di quanto ti aspetti di fare. Mi
scuso se questo mio scritto di documentazione sembra di più un inno
alla bicicletta che neanche all'evento ma devo essere sincera, se non
avessi avuto queste due ruote a trasportarmi da un punto all'altro di
questa città che ancora per me è un mistero, oltre che un crogiolo
di sorprese, non starei scrivendo queste parole e il mio punto di
vista sarebbe completamente diverso perchè QUESTE DUE RUOTE mi hanno
portata (con l'aiuto di una mente sapiente) in una di quelle che
ritengo essere una delle zone più belle e stimolanti della città:
la Martesana.
Prima
di partire da Corso Buenos Aires, il centro, ho guardato l'ora: erano
le 17.35 e circa un'ora dopo mi sono trovata sulla pista ciclabile
del naviglio della Martesana, un canale navigabile e costeggiato da
vecchie case bellissime e orti di guerra, famigliole di nutrie,
sportivi e gente a passeggio che come me si godeva uno spettacolo
così semplice e antitetico alla metropoli (si ringrazia tantissimo
la condizione di luce del momento) da far provare un senso di pace e
meraviglia insieme. Avete presente alcune inquadrature del film “La
grande bellezza”? So che non è la stessa cosa ma la sensazione che
ho provato è stata simile: quando mi trovo davanti a finestre che
raccontano una storia o a giardini là in fondo alla visuale concessa
dall'angolazione in cui ti trovi che ti fanno solo immaginare quello
che vi si cela o a case vecchissime sulla costa del naviglio che
ospitano un esercito in riposo di peluches silenziosi, bambole e un
orologio senza lancette che sembrano rimanere immutati nel tempo,
provo un senso di quello che definiremmo tranquillamente MAGIA che è
un fatto privato, spesso non condivisibile a meno che non ci si trovi
di fianco a un'anima ricercatrice che persegue come te il senso del
mistero, una persona davanti a cui rimanere a bocca spalancata per lo
stupore senza aver paura di mostrare le carie.
Alla
fine della pista ciclabile quello che sembra l'inizio di un
paesuncolo che, vivendo a Cremona, non ci si stupirebbe di vedere ma
a Milano... Bè, sabato a Milano è stata tutta un'altra storia.
E
poi al ritorno, perchè ormai l'avventura stava finendo, certo
c'erano tutte le promesse di tornarci, magari la notte che è più
bello, ma insomma, l'avventura stava finendo e il treno non aspetta
(anche se quella del treno è stata un'avventura che vale al pena
raccontare un giorno!). Dicevo, al ritorno un parco gremito di
banchetti e musica live nel quale abbiamo incontrato un'altra delle
iniziative di 100in1giorno Milano: Wonder Experiences, ovvero,
passeggiate in bicicletta con lo sguardo aperto alla meraviglia, che
dopo un post del genere tu dici “Calza a pennello!”, che per
l'occasione aveva organizzato un piccolo stand di vasetti con delle
piantine per addobbare la zona della Martesana.
E
poi il sole è tramontato e si è fatta l'ora di andare ed io ho
raccontato tutto quello che ho visto sabato 27 Giugno e se i Black
Whateverare potessero parlare fuori dalle nostre voci descriverebbero
ciò che io ho descritto e se ne andrebbero felici, stanchi ma
felici, col cuore pieno come me lo sento ancora adesso a condividere
con voi lettori la nostra esperienza in occasione di 100in1giorno
Milano. Festival della creatività urbana che ha mantenuto
solennemente la parola data.
Nelle pagine precedenti ho parlato delle necessità di sperimentare progetti e del piacere di performare per le strade di Londra, quindi di stabilire un contatto con quelle che sono le arterie di una città, di stabilire un contatto con quelle linee di forza specifiche di ogni luogo, in questo caso della capitale inglese. Si potrebbero anche chiamare piaceri solipsistici, ma solo perché chi ne fruisce dimentica spesso quanto sia importante il confronto con il pattern in cui ci si viene a trovare quando si decide di agire su un pezzo di città. Diventare parte di quel pattern è fondamentale, è la risposta a un corteggiamento che richiede un atto di proporzionale intensità, altrimenti immagino che ce ne staremmo tutti a casa a giocare nell'intimità delle nostre camerette.
Ho visto una Londra in cui il fenomeno hipster ha radicalmente modificato certe tendenze e trasformato alcuni quartieri, ma come ha giustamente scritto qualcuno, gli hipster sono per lo più curatori di una certa cultura piuttosto che propositori di una cultura tutta nuova. L'inevitabile fine di questa moda (che non è una moda, ma concedetemelo almeno in questa occasione) cambierà gli equilibri di alcune aree della capitale, decretandone un ritorno all'oblìo in favore di nuovi quartieri che sapranno adattarsi alla nuova filosofia del momento. Allora forse i muri di Brick Lane e di Shoreditch si spoglieranno di quel caravanserraglio di animali mitici, di icone trasfigurate , di robot d'altri tempi, di indefinibili protoplasmi che mi hanno stregato. Forse...
I muri di Londra sono belli a prescindere che vi sia effigiato sopra un riccio gigante, ma è indubbio che quel riccio gli dia un risalto particolare. C'è qualcosa di atavico nell'osservare un prodotto dell'uomo ricoprirsi di qualcosa che a distanza di millenni sembra ricongiungerci con le pitture rupestri del nostro antico passato. Quel muro non è più solo un muro, ma un libro di testo. E a differenza di chi si esibisce in strada operare su una parete mantiene sempre un carattere un po' incognito, anche se oggi gli esponenti della street art londinese sono famosi quanto e forse più di quelli che affollano le gallerie. Non posso dire di nessuno del perché faccia quello che fa, posso solo dire di me. Come certi muschi che attecchiscono solo su certi muri, il mio muschio prova piacere solo su questa o quella parete, e non solo appaga il senso estetico ma anche quello dell'appartenenza a un luogo. Di più, applicare piccole sculture in un angolo nascosto, vicino a una grata, accanto a una texture prelibata, significa per me lasciare che la cosa cerchi da sola il suo destinatario, quello spettatore unico che possa ritrovarsi in ciò che vede. In questo caso, la street art minimale come quella che mi diverte realizzare è come una freccia scagliata nel vuoto che spera di incontrare il suo bersaglio.
Ovviamente queste piccole cose saranno già sparite, come ho detto Brick Lane e Shoreditch hanno già cominciato a perdere i pezzi che le hanno conferito carattere (non so se per un cannibalistico bisogno turistico di portarsi via dei souvenirs o se perché le autorità hanno deciso di avviare un repulisti indiscriminato), forse solo perché le cose cambiano, e come già Camden Town e altre parti di Londra cominciano a tornare nell'anonimato anche le aree deputate dell'arte londinese stanno dimenticando i giorni migliori. Posso solo sperare che, nel frattempo, la freccia abbia trovato il bersaglio, e che la ferita stia suppurando, in vista di nuove e meravigliose infezioni.
David Chance Fragale
An unexpected jouney by David Chance Fragale
Fir Darrig by DCF
Vase by DCF
Luther by DCF
The
walls of London are beautiful no matter that a
giant hedgehog is depicted on them but there' s no doubt that the hedgehog gives a particular charm. There
is something atavistic in observing a product of man becoming covered
with something that after millennia seems to rejoin the cave paintings
of our ancient past. That wall is not just a wall but a textbook. And
unlike those who perform on the streets, working on a wall always keeps a bit incognito character, although today the exponents of street art
in London are famous as, and perhaps more, than those who flock to the
galleries. I can not tell anyone why someone does what he does, I can only speak for myself. Like
certain mosses that take root only on certain walls, my moss takes
pleasure only on this or that wall, not only satisfying the
aesthetic sense but also that of belonging to a place. More,
applying small sculptures in a hidden corner, near a grate, next to a
delicious texture, means to me to let the thing seeking itself for a receiver, the one and only spectator who can find himself in what he
sees. In
this case, the minimal street art I like to create is
like an arrow dashed into the void hoping to meet its target.
Sometimes I feel like a scientist (like most of the people working with creativity)
always trying different combinations of elements,
keeping experimenting to get to one single formula:
a way to perform.
Sonia Secchi
Per Buddha, non puoi viaggiare su una strada senza essere tu stesso la strada. Non sono un buddhista, ma questo pensiero mi colpisce e mi attraversa e mi ci riconosco, in quello che è stato fatto e sarà fatto. Secondo il nostro nume tutelare Georges Perec, "leggere quanto è scritto nella strada; colonne Morris, edicole,
manifesti, cartelli stradali, graffiti, dépliant gettati per terra,
insegne dei negozi (...) Niente ci colpisce. Non sappiamo vedere." Ed eccoci al punto di questo secondo post dedicato all'esperienza performativa a Londra, città magica, città di draghi, città di strade. Dopo il picture crossing e altre installazioni (ne parlerò più avanti), è la volta di dire di noi, di spose e di pupazzi. Ma si parla sempre di strada, di quello che la strada ti dà e che devi in qualche modo restituire. Sono un fanatico di opere murali, amo i manifesti strappati, la gente vestita in modo strano, i pazzi, le donne che zoppicano, le riviste di moda gratis che trovi nei pub di Brick Lane, i volantini che promuovono eventi e spettacoli segreti, amo i muri e la spazzatura che vorresti portarti a casa, e quando trovo un luogo in cui tutto questo diventa un affresco emozionale, allora so che è il posto giusto per fermarsi e recitare, o per camminare e contribuire a complicare l'affresco. In fondo penso che sia questa la street art, un modo un pò beffardo di partecipare alla vita di quel particolare scorcio cittadino, di diventare parte di esso, di sentirsi a casa. Anche di insegnare a vedere, come vorrebbe Perec. Le strade sono i luoghi migliori dove conoscere il mondo, e sperimentarvi l'arte o la magia o come la volete chiamare non sarà mai bello e utile e fondamentale come sulle strade. Che poi siano le strade di Londra non è casuale, ma qui si parla di genius loci e altre amenità, che ovviamente non interessano tutti e forse non vale neppure la pena di rivelarsi agli altri così tanto. L'importante è ricordarsi che per quanto siano importanti i musei, i negozi, il posto fisso, l'opinione politica sui social networks, le stragi della settimana, le parole buttate qui su un blog che leggerano giusto in quattro - l'importante, dico, è stare sulle strade e sentirle e vederle e farne parte, con un cappello buttato per terra e una manciata di spiccioli dentro se volete, oppure misurata coi piedi finché sanguinano. Alla fine la strada parlerà e se sei fortunato ne farai parte.
David Chance Fragale
Alcuni frammenti della performance TAKE THE FLOWER di Sonia Secchi nei quartieri di Londra, che potete approfondire sul suo sito; qui sotto il video.
A seguire alcuni scatti regalati dal pubblico e da amici dei Black Whateverare, alla loro seconda apparizione nella capitale; un'esperienza catartica, davvero.
I
am a fanatic of murals, I love torn posters, the people dressed in a strange
way, the insane things, women who limp, fashion magazines that are free in the
pubs of Brick Lane, the flyers that promote events and shows secrets, and I
love the
walls and the garbage that you'd like to take you home, and when I find
a place where all of this becomes an emotional painting I know it's
the place to stop and play, or to walk and contribute to complicate this pattern. Basically
I think that this is the street art, a way of mocking a bit part in the
life of that particular historical city, to become part of it, to feel
at home. Also to teach to see, as Georges Perec said. The
streets are the best places to learn about the world, and experimenting
art or magic will never be beautiful
and useful and essential as on the roads.The
important thing is to remember that no matter how important are the
museums, shops, the permanent position, political opinion on social
networks, the massacres of the week - the important, I
say, is to stay on the streets and hear them and see them and be part
of it, with a hat on the ground if
you want, or measured with your feet until they bleed. Eventually the road will talk and if you're lucky you'll be part of it.
Brick Lane, Shoreditch, Camden Town, Angel, tutti luoghi consoni allo sfruttamento creativo se siete in visita a Londra e magari siete turisti inusuali, che oltre a riempirsi gli occhi, le orecchie e i nasi di immagini, suoni e profumi siete anche quelli che volete fare un regalo alle città. Londra è perfetta se questo è uno dei vostri intenti, e nei prossimi post racconterò questo bisogno di lasciare una traccia sulle strade di quella città, che ancora mi affascina e mi ispira.
Il picture crossing, per esempio, nasce dal desiderio di emulare la pratica dell'image sharing che spopola sul web (in special modo sui social network), applicato alle regole della strada. Non proprio un progetto, ma un'idea embrionale che volevo sperimentare per comprenderne le potenzialità, e che almeno in questo caso, soprattutto grazie al contesto scenografico di certi quartieri londinesi, ha funzionato abbastanza bene. Insomma, si regala volentieri ai luoghi che ti fanno regali.
David Chance Fragale
Thepicturecrossingcomes from the desireto emulatethe practiceof imagesharingon the web(especiallyon social networks), appliedto the street rules.Notjusta projectbutan embryonicideathat I wantedto experienceto understand itspotentialand that, at leastin this case,mainly thanksto thescenic contextofcertain neighborhoodsin London,it worked quite well.In short,it's fun tomake gifts to the placesthat make gifts to you.